Il mio paese, Casalpusterlengo: non è mai stato bello, anche se prima dei famigerati anni sessanta, era dotata di una gradevole piazza, la più bella del Lodigiano, dicono. Ora non più.
In questo paese, ho deciso di tornare a vivere, dopo 41 anni
In questo paese conosciuto per il buffo, lungo nome, che dicevano avesse un cartello di uscita che tagliava in due l'autostrada.
Era il paese nominato da comici antichi come Gino Bramieri e più recenti come Gene Gnocchi
Qualcuno ricordava la Torta, la tùrta de Casal, mitica frolla senza uova, fortificata dal ripieno con amaretti e frutta.
Poi il 2020, il Covid, la prima zona rossa e i tanti morti
Il paese era su tutti i network nazionali e nessuno, in quel frangente, avrebbe voluto esserci. Il monumento di sassi, con troppi nomi è qui chiedere di non dimenticare, anche se riuscirci, sarebbe impossibile 
Ora si è tornati su tutti i quotidiani, a causa di una maxi rissa scoppiata o molto più facilmente organizzata da bande rivali. Tutti ragazzetti, una cinquantina, probabili stranieri di seconda generazione 
È successo nella notte fra Natale e Santo Stefano.
Non è bello, non è buono, non è giusto per nessuno
Eppure al di là degli ovvi protagonisti, a chi la responsabilità? Perché è impossibile non aver avuto minimo sentore di quello che stesse per succedere. 
Famiglie, moderatori culturali, associazioni, polizia, il sindaco o i suoi assessori? Non lo so, chiedo, davvero semplicemente. 
Faccio un'analisi piuttosto semplicistica forse, non certo sociologica, non ne sarei capace. Il paese, come mille altri è oggetto di immigrazione e contrariamente a quanto possa sembrare a un primo acchito, i numeri sono inferiori a quelle delle città vicine. 
Il problema, forse, è stato un abbandono cruento del centro storico, da parte dei miei concittadini, attratti dalle famigerate villette a schiera, dai giardinetti più o meno vistosi, dal richiamo delle zone residenziali. Si è preferito costruire, anche male, ex novo, piuttosto che ristrutturare le vecchie case. Ci sono cresciuta in una di queste, grande, scomoda, impossibile da riscaldare bene, dalle mille finestre, che affacciavano sul "corso" . Tutto normale, nella logica dei cambiamenti urbanistici, ma che ha permesso l'installarsi in questo vuoto, di gruppi non sempre coesi, spesso arroccati e poco integrati: anche questo è comprensibile. Ci si unisce, per rendersi forti, ritrovare le proprie origini, magari in un vecchio quartiere per lo più abbandonato. 
La piazza, punto di forza, di incontri, diventa ora un ring? 
Sì, ma non solo
La sera della vigilia sono stata a vedere il classico falò. Intanto non era sulla piazza, forse per motivi di sicurezza, poi lo stand con i panini e il vin brulee. Ho provato un senso di forte tristezza. Il falò dei miei ricordi, con il semplice panettone offerto dalla Pro Loco e dai commercianti cittadini, tanti all'epoca, che accoglieva e riscaldava chi usciva dai cinema, chi si faceva una passeggiata, poi ancora la folla in uscita dalla messa di mezzanotte e che rimandava ai tanti bar ancora aperti. C'era un vero bel falò, non lo stand delle salamelle da fiera agricola, con il click clack pur metaforico della cassa, ma soprattutto c'era tanta gente che aveva voglia di ritrovarsi. Che voleva ritrovarsi. Il punto è questo
E ora? 
Osservo, studio, chiedo
Quello che vedo non mi piace. Penso si possa fare molto, senza salire sulle barricate della politica più becera, che non ammette un mea culpa, nemmeno quando presa in flagranza di reato, ma come i peggio avvocati difensori diventa benaltrista
Ci vuole la gente autoctona o immigrata, ma consapevole, a occupare nuovamente le strade della città, a illuminare ancora le vie, a riaprire le vetrine, a fare della piazza un luogo di incontro e non di scontro. Proviamoci a ridare a questo paese dal lungo nome, una sua vera forte identità 

















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