Soffro da sempre di alcune fobie: ho terrore delle dighe per esempio. Devo camminare sul lato sinistro di chi mi accompagna, ma anche qui pare che tutto riporti a qualcosa legato alle dighe, al fatto che mio papà conoscendo il mio timore, durante le passeggiate infantili ntorno alla diga del paesino dove passavamo le vacanze, mi spingesse verso il lato sicuro, che era alla sua sinistra.
Anche l'agorofobia mi è ben nota, ahimè. C'è stato anche un periodo in cui avevo l'ossessione di rimanere senza sigarette e non mi rasserenavo se non ero sicura di avere almeno una stecca di riserva: una dipendenza più che una fobia, certo, ma di quella mi sono liberata in un amen. In 24 ore esattamente
La più grave, sicuramente l'abibliofobia, ossia la paura illogica e incontrollabile di rimanere senza libri da leggere. Ne soffro sin da bambina, ma grazie al KOBO e alla possibilità di recuperare letture on line a qualsivoglia orario, tengo tutto sotto controllo
Poi scrivo. Forse non è una fobia, ma è un'esigenza. Scrivo da sempre. Pensieri in libertà, come mi piace chiamarli, che devo mettere su carta o digitare. Riporto frasi che mi colpiscono, parole che amo e io amo tantissimo le parole, gioco con le parole. Parole che devono essere scritte. Il parlato mi difetta. Il parlato stordisce e svanisce. Vale la locuzione *verba volant, scripta manent*? No, non necessariamente, perché spesso anche il detto rimane nella sua tessera in quel caotico puzzle che è il cervello, ripresentandosi, magari a disturbare una certa linearità di pensiero ed è tossico allora, perché si risentono le voci: quelle amate, ma anche quelle odiate. Troppe volte, alcune tonalità vocali mi feriscono.
Scrivo dunque, tanto, per qualcuno troppo, per altri poco
Apprezzo gli haiku e ogni tanto mi cimento, ma il rispetto delle regole, il dovermi imporre le sillabe a cinque, sette e ancora cinque, vanifica la mia estemporaneità. Troppo occidentale per una logica tanto orientale
Adoro le poesie, ma non sono brava a scriverne: preferisco leggerle e poi eventualmente riportarle. Mi piace aprire a caso un libro di poesia, senza seguirne l'ordine di impaginazione
Scrivo per me, non per gli altri. Alcune riflessioni sono riservate al mio intimo più profondo. Condivido a volte, ma non sempre e chissà, probabilmente sarà sempre meno. Il fraintendimento è sempre in agguato e io non ho voglia di specificare
Qualcuno disse che si sentiva responsabile per quello che scriveva, non per quello che gli altri interpretavano
È tutto e così sia