QUEL PICCOLO MALE OSCURO
Stai camminando verso casa, dopo aver accompagnato la bimba a scuola, in una qualunque giornata dal cielo terso, con i colori accesi dell'autunno ligure.
Ti fermerai all'edicola, e già stai pregustando il caffè che accompagnerà la Lettura delle notizie e agogni la benedetta sigaretta. Tranquilla, serena.
Improvvisamente, una morsa allo stomaco, la vista si annebbia, il cuore impazzito, un tremore in tutto il corpo. Corri, con le gambe molli, ma corri. Vorresti fermarti, ma devi fuggire, trovare quanto prima il tuo rifugio. Non ti fermerai a comprare il quotidiano, non guarderai le persone intorno a te, ma correrai verso casa, fendendo quella nebbia che solo tu vedi. Con mano malferma aprirai la porta, lasciando che si chiusa sbattendo e ti attaccherai alla parete, come durante un terremoto. Tutto sembra instabile. Vorresti gridare, ma la voce non esce. Stai lì, ferma, incapace anche di prendere il telefono e chiamare qualcuno.
Poi, tutto scema. Il respiro si normalizza, come il battito. Smetti di tremare e tutto intorno, ritorna ai suoi contorni reali.
La paura per quello che hai appena passato rimane.
Chiami il compagno di vita, e il medico che ti vuole vedere, immediatamente: da pochi mesi hai finito di lottare per il linfoma, sei ancora immunodepressa e tutto potrebbe essere. Q1
È iniziata così, in una bella, tranquilla giornata, dopo la faticosa lotta oncologica, la mia conoscenza con i Dap, disturbi da attacchi di panico.
Ne avevo letto, tanti anni prima, in un romanzo di Scerbanenco e avevo pensato a quanto potesse essere distruttivo, ma anche inconcepibile, per me, in perenne movimento
Sono passato tanti anni e tanti Dap: li conosco, li gestisco, anche se non vorrei gestirli, ma proprio non averne.
Percorsi di psicoanalisi, corsi di training autogeno, di yoga, pratica di meditazione, passando dallo XANAX ai fiori di Bach, in un'alternanza di quiete, benessere e momenti bui.
Le passeggiate, distensive e chilometriche con il cane e le brevi obbligate uscite, con le gambe che si bloccano e rifiutano di muoversi. Le arrampicate sui pendii, le nuotate e per contro le giornate passate sul divano o a letto, incapace di muovermi. Lo sforzo per farcela comunque e deviare il pensiero. Il controllo del respiro, il diventare tutt'una con l'ambiente.
Il senso di paralisi che blocca i movimenti, irrigidisce il corpo, annebbia gli occhi e la mente, così improvvisamente, a tradimento: ecco, conosco tutto e non mi spavento pìù, ma mi ritrovo poi, senza forze, stanca, incapace anche di parlare.
Mi rifugio nei miei luoghi sicuri, nei libri, nelle parole, per ritrovare la voglia di ricominciare. E ricomincio, ancora. E ricomincerò sempre.
Mi rifugio nei miei luoghi sicuri, nei libri, nelle parole, per ritrovare la voglia di ricominciare. E ricomincio, ancora. E ricomincerò sempre.
Gli occhi vedranno il bello, i movimenti saranno fluidi, come nei miei giochi d'acqua, i miei pensieri liberi, capaci di accettare quei blocchi che la vita ha voluto darmi per sventurati compagni.
Però non chiedetevi e non chiedetemi: "perché? Non ti puoi lamentare! Cosa vuoi, insomma?".
Non fatelo mai, per favore