MALINCONIA

RICORDI 

È presto, forse: ogni cambio d'ora mi coglie impreparata, ma non ha importanza, tanto cambia nulla. Forse, perché guardo il mio giardino e i monti intorno e sono rosso colore con striature dorate e il cielo azzurro mente sulla stagione.
Siamo praticamente a Ognissanti e miei ricordi portano colori diversi, smorzati dalla foschia padana, umidi di pioggerella, de sbrünšina, che rende scivoloso il tappeto di foglie gialle sul Viale del paese dei cinque campanili. 
Non sento quell'odore di fiori e crisantemi, che l'umido rende subito un po' marcio, e che tendeva a mischiarsi con il profumo zuccheroso della tiràlàca e del croccante venduti dalla bancarella fuori dal cimitero. 
Il ricordo porta anche un sentore di naftalina: in fondo il cappotto si tirava fuori proprio per i morti. Ci si faceva belli per la visita ai defunti; per rispetto e perché se tröva parenti e amiši che "Madona, quant tèmp che te vedevi no" e "Tè vist, m'là fai ala svelta ad andà?? Pürin". Un brusio di sottofondo, fatto di Requiem e di parole. Sacro e profano.
Non c'è tristezza nei miei ricordi; non mette angoscia il cimitero in questi giorni. Solo una  giusta dose di malinconia, perché i nostri morti li festeggiamo; per un giorno non li piangiamo o cerchiamo di non farlo. 
Fingiamo di essere tutti sereni, che anche loro, i defunti, sono un po' più presenti. Se cammino fra le tombe, sento ancora il braccio di mia mamma, appoggiato al mio, che mi tira verso una foto e mi dice ancora - "Te se ricordi??" -
No, non  mi ricordo o devo frugare nella memoria, ma dico di si...e lei è contenta.
Il magone, a me, rimane.

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