DI CHIACCHIERA IN CIARLA

Qualche giorno fa, su una delle pagine FB, dedicate al paese dei cinque campanili, si parlava di quelli che un tempo, nel dialetto locale si chiamavano FAMÈNTÓN, cioè personaggi, che seduti ai tavolini di bar , posti sotto i portici che circondano la  piazza, usavano passare il tempo commentando, con apprezzamenti o dileggi, il passaggio delle persone. Ne avevano per tutti, ma in modo particolare con le donne, possibilmente giovani, magari appena carine, sempre appetibili.
Chi, come me ha vissuto l'adolescenza negli anni sessanta/settanta, camminare nelle vicinanze di quei bar, era vera sofferenza, per cui, tempo bello o brutto, si cercava di ovviare, passando proprio al centro della piazza, piuttosto che sotto i portici. Parlo di anni che mi riguardano personalmente, ma dai racconti che me ne faceva mia mamma, tutto era simile, se non peggio, anche gli anni precedenti.

Credo che il pettegolezzo, la chiacchiera fine a se stessa, appartenga al vissuto di ogni paese o piccola cittadina, dove ci si conosce più o meno tutti, perché è, ovviamente, più semplice ciarlare su di chi si ha una qualsivoglia relazione, che su uno sconosciuto.
Ricordo, quanto trovassi accogliente entrare nella via, pur centrale, che portava a casa, solo a pochi metri da quei bar: il mio quartiere, mi rassicurava e mi proteggeva. Avrei trovato altri bar, vicino a me, li avrei frequentati, ma erano altra cosa: lì, dove i gestori mi conoscevano bene, che mi chiamavano al passaggio, perché avevo, magari, pagato un gelato, frutto della vittoria a carte di papà, ecco, lì, mi sentivo tranquilla e accettata.

Sono passati tanti anni da quei giorni; ho vissuto in altri città, ho frequentato tantissime altre persone e se è vero, che non sono più incappata nei FAMÈNTÓN, è altrettanto vero che alle chiacchiere, non si sfugge. Cambiano solo i luoghi, ma le modalità sono simili.
Tempo addietro, mi convinsero a iscrivermi a uno dei tanti club, tipici della città che mi ospita. Sono proprio refrattaria a ogni forma di tesseramento, a unirmi in modo coatto a gruppi ben delineati e apparentemente uniti da una certa omogeneità di intenti. Diffido e schivo, ma tant'è, mi ritrovai in quella che per me, fu una vera selva oscura. Si cenava in compagnia e ho conosciuto persone estremamente piacevoli e interessanti, ma i dopocena, che vedevano fra l'altro una separazione fra uomini e donne, erano una tortura. Non sono avvezza ai discorsi sulle mode del momento, sul gossip e tantomeno ai pettegolezzi, che pur fatti su persone che mi erano del tutto sconosciute, trovavo terribilmente fastidiosi. Anche se qualcuno dei presenti, si allontanava per poco, poteva essere oggetto di più o meno benevoli apprezzamenti. La cosa mi esasperò tanto, che ritenni opportuno non frequentare e non iscrivermi più.
Le chiacchiere volano comunque: fra la gente del quartiere, forse, o all'interno delle case, fra amiche, presumo. Però, non trovo terreno fertile, nemmeno dalla parrucchiera e mi rallegro.
Frequento pochissimo, ho una vita sociale, volutamente, molto limitata. Le esperienze sgradevoli che mi hanno accompagnata fin qui, mi portano a prediligere la solitudine o la compagnia di poche, selezionatissime, persone. Con loro si parla, si conversa, non si chiacchiera e tantomeno si ciarla. C'è differenza profonda fra i termini, là dove si parla, si comunica, dove c'è chiacchiera può esserci vuoto, la ciarla ferisce.
In tempi di Social network, la chiacchiera è più che mai virtuale. Il dileggio online, quantomai pericoloso e i giudizi espressi, solo per il gusto di farlo, feroci e alienanti.
Dal tempo dei bar, fra un caffè e un aperitivo, al tempo di FB, fra un post è un link, in un gioco di mortificazione, che gratifica chi cerca consensi, perché senza, non sarebbe, evidentemente, in grado di sopravvivere.

"Certe persone sono cattive unicamente per bisogno di parlare. La loro conversazione, chiacchiera nei salotti e cicaleccio nelle anticamere, somiglia a quei camini che consumano presto la legna: occorre loro molto combustibile, il prossimo"
Victor Hugo





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