DOLCEZZE DI FINE ESTATE

Nel paese dei cinque campanili, negli ultimi giorni di agosto, si festeggia il Patrono, San Bartolomeo ed è festa. Tutto si può dire, ma i miei compaesani, non hanno mai risparmiato forze e volontà per la riuscita della sagra cittadina. Nel tempo qualcosa è cambiato, certo, ma nel rispetto delle tradizioni, tanto è rimasto: non c'è più il Palio dei Rioni, leggendaria disfida a suon di tiro alla fune, alberi della cuccagna, giochi di equilibrio e quanto la fantasia degli organizzatori era in grado di sfornare, ma altro coinvolge i più volenterosi e simpaticamente scafati brembiolini. Il luna park o le giostre, come si usa, familiarmente dire,  sono sempre quelle, come invariato è il concorso per la vetrina più bella e lo spettacolo pirotecnico di annoso disaccordo. Soprattutto, ma proprio sopra ogni cosa, a ratificare la sacralità dell'occasione, la torta, anzi sua maestà, LA TÜRTA DE CASÀL.  Frolla senza uova, con abbondanza di burro e un ripieno di frutta e amaretti, o di marmellata,  è da sempre, con la sua variante a base di mandorle e alchermes, il vero trait d'union di intere generazioni.
Una volta, era consuetudine portare le torte a cuocere presso i vari panifici del paese: ogni famiglia ne preparava in considerevole quantità e le segnava, scrivendo il cognome suun pezzetto di carta oleata infilzato su uno stuzzicadenti, a sua volta infilato nella torta. Sono sicura, che possano esserci stati dei disguidi, perché ho memoria di una torta ritirata che mia mamma, a ragione, disconobbe come sua produzione. Di certo il profumo che avvolgeva il paese in quei giorni, era qualcosa di unico e destinato a rimanere perennemente nei miei ricordi olfattivi.

Ho mantenuto, come ogni cittadino dei cinque campanili espatriato, l'abitudine alla preparazione della TÜRTA de Casal. Ne ho preparate per amici, in una gara alla preferenza fra base di frutta o di marmellata, ne ho fatte per me, più amante del bordo che del ripieno. Mia mamma, esasperata dal fatto che le torte subissero la mia violenza, lasciandole pasticciate, per non ammazzarmi, come amava ripetere, si ridusse a prepararmi, con lo stesso impasto, dei  biscottini, lavoro non semplice, perché la mancanza di uova, rende difficile e laboriosa la lavorazione dell'impasto; ammetto, però, che il bordo era ed è decisamente più gradevole.
Quest'anno, d'in sulla vetta della Rocca antica, cioè nella mia casa di montagna, che vorrei diventasse anche la mia unica, ma va beh, è altra storia, ho preparato la torta, anzi ho tentato. Il paese appenninico, nel mese di agosto è meta turistica, troppo turistica per i miei gusti e cercare di fare la spesa è compito davvero arduo: non ci sono supermercati, e i negozi, pur ben forniti, presi d'assalto. La cosa che mi fa inviperire è che per comprare un litro di latte e un cespo di lattuga, entrano in quattro, bloccando l'accesso alle corsie e costringendo gli altri clienti a manovre da triathlon per prendere il necessario o a chiedere favori a chi sosta più vicino alla merce desiderata. Così caso volle, che mi ritrovai in una selva davvero oscura, con in mano della farina per torte e quello che credevo fosse zucchero a velo. Una volta a casa, la scoperta che la farina conteneva anche una parte di amido di frumento, ottima per torte soffici, molto meno per una folla senza uova, che ha tendenza a essere quantomai friabile. Comunque, dotata del miglior burro possibile, di amaretti, di mele, seppur con fatica, sono riuscita a comporre, questo il termine giusto, la mia torta,  usando però, purtroppo, una teglia di alluminioe usa e getta, poco adatta alla preparazione: avevo riportato, per qualche strano motivo le mie tortiere, in città e dimenticato  di riportarle in montagna.  Pur lasciata raffreddare a modo, la mia torta tendeva a rompersi, ma non mi sono scomposta più di tanto, vista la farina e la teglia usata, già che lo zucchero a velo avrebbe nascosto le fratture.  Così è stato, se non che al primo assaggio, mio marito.mi ha fatto notare che lo zucchero aveva uno strano sapore, anche perché di zucchero non si trattava, ma bensì di una polvere per preparare la glassa al latte... Stesso marchio, stessi colori del pacchetto dello zucchero a velo e sopratutto stessa corsia e stesso ripiano di vendita. Nel caos, non mi ero accorta dell'errore e a casa non avevo controllato.
Per la prima volta, avevo disonorato la TÜRTA DE CASÀL e le mie origini.
Qualcuno mi avrebbe detto che tutto dipende dell'acqua: le nostre torte vengono buone solo con l'acqua del Brembiolo, il nostro "fiume". Già, ma a cosa deve l'acqua? Per lavarsi le mani?

Sono rientrata a M. e ho già provveduto a ripescare le mie tortiere e a stilare la  lista della spesa: ci sarà la giusta farina e lo zucchero a velo, quello vero.






Le foto sono rispettivamente di proprietà di G.Colombo e del Panificio Monico di Casalpusterlengo

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