VACANZE D'ANTAN
Si partiva alla fine di luglio, massimo il primo di agosto per Rapallo, dove avremmo trascorso l'intero mese, spesso sino all'inizio di settembre
Sotto gli ordini rigorosi di mia mamma, i preparativi erano più simili a quelli per una possibile guerra, che non per una agognata vacanza al mare.
Nelle rispettive camere, le valigie che papà aveva fatto scendere dal solaio, passandole a mamma, che avrebbe provveduto a una accurata opera di pulizia e disinfezione, come solo lei poteva fare. Il solaio, bisogna dire, era territorio maschile, perché per raggiungerlo era obbligo usare una terribile scala a pioli che solo l'unico esponente del sesso forte in famiglia, cioè papà, poteva usare. Sarebbe stato sufficiente aprire un varco con quello di mio nonno, adiacente, che entrava nel suo solaio, comodamente dalla terrazza dove si stendeva, ma forse era troppo complicato o forse la struttura non lo permetteva. Va beh, divago.
Valigie che venivano preparate con ampio anticipo, lavando e stirando tutti gli abiti estivi e che una volta riposti non potevano più essere usati: a fine luglio in genere ci vestivamo come nemmeno sotto tortura avremmo voluto. La volontà materna, era una forma di tortura, comunque.
Preparate le 4 valigione, una ciascuno, il giorno precedente la partenza, con un padre sempre più nervoso e una madre in moto perpetuo, si caricava l'automobile. Sul tettuccio. Legate con le corde elastiche. Fantozzi, sarebbe ammutolito alla vista.
Nel bagagliaio, le borse varie ed eventuali, Dentro l'auto, un plaid, che non si sa mai, anche con trentacinque gradi, e le vettovaglie.
Per percorrere i circa duecento chilometri, che separano il paesello dalla riviera, era necessario effettuare alcune soste. La partenza, dunque, all'alba con una prima fermata a Serravalle, prima di affrontare i fatidici Giovi, una durante la corsa, in qualche piazzola per far riposare l'autista, papà, pessimo autista, farlo rilassare e far riposare il motore dell'auto, che aveva la tendenza a surriscaldarsi. Va detto che all'epoca la maggior parte del percorso non veniva fatto in autostrada, ma su strade statali con difficile percorrenza a causa del traffico, anche allora, notevole. Le soste prevedevano una colazione a base di panino al salame o prosciutto, caffè e the. Proibiti i dolci, perché io avevo la tendenza a vomitare anche l'anima, per cui oltre alla Xamamina, che mi stordiva, potevo ingurgitare solo cibo salato e a secco. Per par condicio, lo stesso trattamento veniva riservato anche a mia sorella, che non soffriva per nulla, ma non è importante, perché lei ingurgitava felicemente tutto.
Per fortuna con il passare del tempo, passò anche il mal d'auto; rimase e rimane il mal di pullman.
Dopo tre panini, tre soste e parecchie accidenti si arrivava finalmente in Liguria.
Si sbrigavano i bagagli, ferro da stiro alla mano, e dopo aver prenotato la solita cabina, stessa spiaggia stesso mare, si passava al ristorante per fare gli abbonamenti, come ticket per la mensa, ma decisamente molto meglio; era un regalo che mio padre faceva a mamma, non volendo che cucinasse sempre, anche durante le vacanze.
I bagni in mare, che duravano fino allo scioglimento della pelle, il cambio del costume, perché non si poteva rimanere bagnati, le lunghe partite a carte al bar della spiaggia, la fugassa al formaggio o il bombolone per la merenda.
C'erano spesso gruppi di amici del paese con noi, con alcuni, i più intimi, abbiano diviso la casa e la vita leggera degli anni sessanta: le passeggiate serali sul lungomare, in gran tiro, o la serata al dancing con l'abito da soiree, il gelato paciugo o il mangiabevi, la cedrata Tassoni, la sangria, seduti al caffè gli adulti, un cono al volo i ragazzini, giusto per vascheggiare un po', con gli amichetti
Sotto gli ordini rigorosi di mia mamma, i preparativi erano più simili a quelli per una possibile guerra, che non per una agognata vacanza al mare.
Nelle rispettive camere, le valigie che papà aveva fatto scendere dal solaio, passandole a mamma, che avrebbe provveduto a una accurata opera di pulizia e disinfezione, come solo lei poteva fare. Il solaio, bisogna dire, era territorio maschile, perché per raggiungerlo era obbligo usare una terribile scala a pioli che solo l'unico esponente del sesso forte in famiglia, cioè papà, poteva usare. Sarebbe stato sufficiente aprire un varco con quello di mio nonno, adiacente, che entrava nel suo solaio, comodamente dalla terrazza dove si stendeva, ma forse era troppo complicato o forse la struttura non lo permetteva. Va beh, divago.
Valigie che venivano preparate con ampio anticipo, lavando e stirando tutti gli abiti estivi e che una volta riposti non potevano più essere usati: a fine luglio in genere ci vestivamo come nemmeno sotto tortura avremmo voluto. La volontà materna, era una forma di tortura, comunque.
Preparate le 4 valigione, una ciascuno, il giorno precedente la partenza, con un padre sempre più nervoso e una madre in moto perpetuo, si caricava l'automobile. Sul tettuccio. Legate con le corde elastiche. Fantozzi, sarebbe ammutolito alla vista.
Nel bagagliaio, le borse varie ed eventuali, Dentro l'auto, un plaid, che non si sa mai, anche con trentacinque gradi, e le vettovaglie.
Per percorrere i circa duecento chilometri, che separano il paesello dalla riviera, era necessario effettuare alcune soste. La partenza, dunque, all'alba con una prima fermata a Serravalle, prima di affrontare i fatidici Giovi, una durante la corsa, in qualche piazzola per far riposare l'autista, papà, pessimo autista, farlo rilassare e far riposare il motore dell'auto, che aveva la tendenza a surriscaldarsi. Va detto che all'epoca la maggior parte del percorso non veniva fatto in autostrada, ma su strade statali con difficile percorrenza a causa del traffico, anche allora, notevole. Le soste prevedevano una colazione a base di panino al salame o prosciutto, caffè e the. Proibiti i dolci, perché io avevo la tendenza a vomitare anche l'anima, per cui oltre alla Xamamina, che mi stordiva, potevo ingurgitare solo cibo salato e a secco. Per par condicio, lo stesso trattamento veniva riservato anche a mia sorella, che non soffriva per nulla, ma non è importante, perché lei ingurgitava felicemente tutto.
Per fortuna con il passare del tempo, passò anche il mal d'auto; rimase e rimane il mal di pullman.
Dopo tre panini, tre soste e parecchie accidenti si arrivava finalmente in Liguria.
Si sbrigavano i bagagli, ferro da stiro alla mano, e dopo aver prenotato la solita cabina, stessa spiaggia stesso mare, si passava al ristorante per fare gli abbonamenti, come ticket per la mensa, ma decisamente molto meglio; era un regalo che mio padre faceva a mamma, non volendo che cucinasse sempre, anche durante le vacanze.
I bagni in mare, che duravano fino allo scioglimento della pelle, il cambio del costume, perché non si poteva rimanere bagnati, le lunghe partite a carte al bar della spiaggia, la fugassa al formaggio o il bombolone per la merenda.
A letto sfiniti, ma con la voglia matta di ricominciare, anche se un pensiero al paese è agli amici rimasti lì, c'era sempre.
Voglia di tornare, ma anche di restare
È adesso?