SOCIALMENTE SCORRETTO

Odio i matrimoni,  o meglio odio le cerimonie e l'inevitabile clamore intorno ad esse. Soprattutto perché ai matrimoni c'è gente, troppa, spesso sconosciuta, con cui bisogna interagire e, orrore, farsi fotografare.

Anch'io mi sono sposata, quaranta anni fa e non ero affatto sicura di riuscire ad arrivare all'altare. Temevo la mia voglia di fuggire da certe situazioni  e in certe situazioni c'era la cerimonia del mio matrimonio e io ne ero protagonista, fra tanta gente.
In anni in cui non si contemplava, nemmeno lontanamente, la convivenza e con due famiglie cattoliche come quelle di mio marito e mia, non si prendeva in considerazione il matrimonio civile, che avrei desiderato. Ce l'ho fatta, con abito lungo, invitati festosi in una giornata invernale, di nebbia pesante, che rendeva l'atmosfera  molto irreale. Non era un sogno però e non vedevo l'ora che finisse tutto.
Sono sopravvissuta a quello di mia figlia, che è anche peggio di me in fatto di convenzioni e convenevoli.
Lei, non desiderava il matrimonio, ma sperava passasse una legge sui diritti per i conviventi. Non erano maturi i tempi e abbozzò per una semplice cerimonia civile, magari in tailleur pantalone, che così "non butto soldi e lo uso sul lavoro".  Pragmatica, come sempre, ma non adeguata alla visione che futuro sposo aveva del matrimonio. Si passò, per gradi, dall'idea di un semplice matrimonio civile a quello classico religioso.
Per l'abito, presi i debiti appuntamenti negli atelier, e prese io, venti gocce di xanax per accompagnarla nella ricerca, con la sua più cara amica, che si prodigava per mantenerla calma, con un continuo "dai che ci riusciamo"!   E si riuscì miracolosamente a risolvere il problema, già al primo appuntamento,  togliendo e tagliando tutto quello che era fattibile per renderlo ancora più semplice di quanto già non fosse. Niente pizzi, trine  e merletti in casa nostra.
Usando il suo metro di giudizio per le cerimonie, ammetto che il suo matrimonio tutto fu  indolore, a parte il mio mal di piedi e il disagio causatomi dal mio abito, che per motivi troppo lunghi da spiegare, non era stato sistemato a dovere. Semplice, gradevole e tutto sommato veloce,
Indolore o dolorosissimo, questi i termini che Chiara usa per definire i matrimoni a cui partecipa. L'ultimo, quello della cugina, è stato perfettamente indolore e credo sia il massimo dell'elogio.

Ora,  mi capita, molto spesso, di vedere vecchie foto di altrettanto vecchi matrimoni e tutte emanano un senso di fresca, umile, dignitosa semplicità.  Dignità, forse che è andata perendosi, perché ora il matrimonio è  business, è ricerca del troppo per stupire, con pacchianate al limite della umana sopportazione e fuochi artificiali finali, a sancire paganamente l'unione. Stupisce anche che ci si metta così  tanto tempo per  organizzare il tutto, così che alla fine i nubendi, siano obbligatoriamente costretti a sposarsi, salvo  divorziare  poco dopo: intanto le  apparenze sono salve e i debiti contratti, con wedding planner, fotografi e catering,  distribuiti equamente dal giudice, in fase di separazione. Rimarranno comunque gli album a ricordare, in giochi di foto elaborate, il magico giorno.

Gli abiti, sempre più debordanti, bamboleggianti e bianchi, indossati anche da pluricinquantenni, con extension da Barbie rugosa, già al terzo matrimonio.
Certo, una giornata da principessa, claudicante in tacco 12, su sentieri di ghiaia bianca dell'antica villa, affittata per l'occasione, non si nega a nessuno, anche se la principessa in questione, ha per età più analogie con la regina madre.

Si è perso davvero il senso della misura, di quel troppo che stroppia. La semplicità dell'eleganza è rimasta cosa per pochi.
Peccato, davvero. Ritroverò la sobrietà, in vecchie foto ormai ingiallite.

Non invitatemi ai matrimoni. Invierò comunque il regalo che desiderate, ma evitatemi il dovere di lunghi discorsi sul nulla con persone sconosciute, indossando abiti elegantemente scomodi, mentre mi viene  servito elaborato finger food.









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