ALLE QUATTRO A.M.


Sono nata alle 4 del mattino e a detta di mia mamma dopo una gestazione di quasi dieci mesi. Che potesse aver sbagliato i conti, non era da considerare. Che potessi essere nata, magari, una settimana dopo il presunto termine, cosa possibile, non era vero: se ne è andata fermamente convinta e dopo avermi ripetuto per una vita "ti te sė nasùda de des mesi!". Ora la cosa, da enciclopedia medica, è stata confutata più volte dalle donne della mia famiglia e le mie rimostranze, tipo "va beh, sapevo cosa mi sarebbe aspettato e non avevo poi tanta voglia di uscire", venivano accolte con musi lunghi. Non davo peso, alle sofferenze di lei, nel mettermi al mondo. Cosa vera, questa, perché il suo travaglio, durò tre giorni e fece piangere e pregare anche la mia nonna paterna, che la assisteva in ospedale, rezdora prolifica, che i figli li scodellava  con la stessa facilità con cui preparava una lasagna.  Insomma le modalità della mia nascita, mi hanno marchiato. Sarei nata dopo una gestazione assurda, fra i più atroci dolori, con una massa di capelli neri, diventati poi biondi, ululante come nessuno mai e alle quattro di un gelido lunedì mattina, durante la nevicata del 56.
Alle quattro, come l'ora di ogni mio, sempre improvviso,  risveglio quotidiano. 
Alle quattro, di ogni giorno, quando andavo a scuola, per ripassare o studiare quello che non avevo fatto nei giorni precedenti.
Alle quattro, ogni giorno, oggi, ritualmente: un attimo prima sto sognando di essere tornata al lavoro e pur sapendo di essere brava, ho dimenticato le procedure, oppure ecco, devo dare un esame di matematica ed entro in panico. Che poi sta' storia della matematica non l'ho mai capita, perché il mio secondo scritto era una traduzione di francese, lingua che riesco a leggere senza grossi problemi, o meglio, qualche problema leggere come ci vedono i cugini d'oltralpe nelle loro recensioni politiche, qualche disturbo me lo crea. In ogni caso, se sono in Francia e devo ordinare qualcosa, biascico, la lingua si attacca al palato e vengo presa da una smodata secchezza delle fauci. Quello che presumo, succeda a mia figlia, che dopo cinque anni di tedesco al liceo, grazie a uno strano sistema di insegnamento, è  in grado di leggeresi tutto Hermann Hess in lingua, ma al bar avrebbe difficoltà a ordinarsi un caffè. Si salva con l'inglese per fortuna...lei.
Alle quattro, dunque, anche se imbottita di xanax, tisana rilassante, training autogeno, musica adeguata, ambiente adeguato, scatto come i siberiani alla vista di una crocchetta, mi stiro come un gatto, allungandomi sul letto, sventolo mani e piedi per ripristinare la circolazione e mi ritrovo a bighellonare per casa, in città e in giardino, ancora al buio, in montagna, dopo aver calpestato il terrier, ascoltato le sue uggiolanti rimostranze,  urtato contro la sedia a dondolo e tirato le due solite giaculatorie, svegliato mio marito, che più tardi mi prenderà in giro chiedendomi se ho poi dormito bene. Tutto ciò, involontariamente, sia chiaro.

Adesso, che sono le 6, ho bevuto il mio caffè, mangiato due biscotti, portato fuori il cane, presa la terapia del mattino, letta la rassegna stampa, posso sperare in un ritorno del sonno, come forse mia mamma in un freddo giorno di gennaio, dopo aver dato alla luce una recalcitrante massa di capelli neri.
Alle quattro di mattina.










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