CUCINANDO
PIATTI E IMPIATTAMENTI
Cucinare è ormai una moda. I programmi su cuochi permalosi, famosi, che vorrebbero esserlo con ricette astratte, cucine più o meno da incubo, hanno invaso canali satellitari, pay tv e ogni genere di social, attraverso tutorial più o meno ridicoli.
Evito, accuratamente la loro visione, ma a volte è inevitabile, scappa l'occhio e troppo spesso corre l'orrore.
Gli impiattamenti, seguono il corso di piccole opere d'arte, lo ammetto, ma vedere microscopici petti di anatra al sangue, con decori di glassa di carote e stelline di aceto balsamico sfumato al vapore del fumo delle salse di Nirano, mi causano una violenta orticaria.
Non sono una gourmet: mi nutro per veicolare i farmaci, piuttosto che per gola. Dipendesse da me, vivrei di pane e pomodoro, qualche cioccolato e insalate miste, ma sono una discreta cuoca.
Cucino, quando ho voglia, per gli altri, ma sempre più malvolentieri. Mr. Gi, è peggio di me, anche se dice che non ha mai fame, salvo poi nutrirsi con tutto quello che trova nel frigorifero.
In anni passati ho cucinato anche per venti persone e mi sono dilettata, soprattutto in Liguria, con le tradizionali ricette locali.
Ho imparato a preparare la focaccia al formaggio, tirando la sfoglia sottile e non lievitata, le torte salate, i ripieni, i polpettoni di patate, il pesto e la salsa di noci.
Ho provato a far crescere in ogni luogo il basilico, ma in pianura le foglie diventano troppo grosse e assumono un sapore prevalentemente mentolato, che andrebbe bene per un te turco e non proprio sulle trofie. Sono fortunata, però, grazie al mio pusher di pesto: costoso, perchè di qualità, ma vale la pena..
Meglio va con la salsa di noci, che mio marito odia, ma ahimè, per i pansoti serve fare la spesa a Ciàvai o a Sestri, che belinona come sono, i ravioli con borragine non li so proprio fare.
Dalle tradizioni familiari, ho portato in dote la capacità di cucinare il ragù, o meglio il ragout, le carni, bianche e rosse, in arrosti, stufati, brasati, spezzatini. Un vero macello, in senso lato, per me, che di carne non ne mangio e l'avvicinamento ai banchi della macelleria è causa di nausea.
Mia figlia è vegetariana, quindi per lei devo inventarmi sempre qualcosa a base di verdure, mentre suo marito si nutrirebbe solo di carne. Un'accoppiata vincente, visto che gli estremi pare si attraggono, come è stato. In effetti lei non cucina proprio nulla e lascia che sia lui a preparare il desinare. Quando ancora viveva con noi, durante le nostre assenze, Luca si trasferiva a casa nostra. Eravamo tranquilli, noi genitori, perché almeno una busta di "quattro salti in padella", lui riusciva a sgelarla … Ora è diventato un bravo chef, specializzato nelle "minestre", come vengono chiamati in Emilia i primi piatti: un vero sfoglino, insomma.
In qualsiasi caso, i prodotti devono essere di qualità, ma gli impiattamenti (come mi piace questo termine!) lasciano alquanto a desiderare: solo ordinati. Se l'occhio vuole la sua parte, la bocca ne vuole di più, ma la realtà dice che non ho pazienza..
Mia mamma preparava meravigliosi ravioli di zucca, di cui eravamo ghiotti tutti. Papà collaborava, ma doveva fischiare, perché il fischio, gli avrebbe impedito assaggi più che sostanziosi del ripieno. Stessa cosa dovevamo fare tutti, quando si grattugiava il formaggio grana, non parmigiano, ma padano o lodigiano, a chilometri zero, direbbero adesso.
Eccelleva anche negli arrosti, semplici o ripieni, sempre con contorno di patate, così buone, che non ne avanzava mai una. Ho tentato più volte di replicare le sue patate arrosto, ma non sono mai riuscita. Secondo mia sorella, la loro squisitezza, dipendeva dalla quantità di burro che usava, nonostante la nostra cuoca preferita, negasse. Nessuno le ha mai creduto, ovviamente.
Nella casa avita, c'era un menù settimanale, che la capa, dopo averlo concepito, seguiva pedissequamente: variava solo quello domenicale. Se il lunedì era il giorno dei ravioli in brodo e degli avanzi, il mercoledì del pollo arrosto, o allo spiedo, il venerdì, rigorosamente di magro, tanto per dire, la domenica si sbizzarriva in base alla sua pazienza e anche alle nostre richieste.
Aveva un difetto, per cui era opportuno non dirle quanto apprezzassimo il tal piatto, perché presa dalla foga, lo riproponeva in continuazione. Abbiamo avuto i periodi, come un Picasso culinario: vitello tonnato, ravioli con la panna, insalata di pollo.
Un giorno, mia sorella le fece notare che sia lei, che Chiara e io, non mangiavamo più carne da tempo. Mamma, meravigliata dichiarò, che ci avrebbe preparato l'insalata di pollo: era insalata no, dove era il problema?
La mia genitrice aveva la mania delle belle tovaglie, ma si inventò per praticità, le tovagliette americane, in anni in cui erano sconosciute. Le ricavava da vecchie tovaglie o da strofinacci ed erano utilizzate in caso si mangiasse da soli.
I tovaglioli, finchè visse papà, erano rigorosamente di stoffa, perché mal tollerava quelli di carta. I salumi dovevano essere disposti su un piatto, guai a vedere un cartoccio, e in tavola ci doveva essere tutto l'occorrente perché non ci si dovesse alzare.
Soprattutto bisognava evitare l' uso dei coltelli alla genitrice, perché mentre si parlava, accesa dal discorso aveva la tendenza a rotearli pericolosamente.
Beh, io vado di Scottex, di tovaglioli di carta, tovagliette americane, alzandomi mille volte, e chiedendo silenziosamente scusa a mio papà… Però la praticità vince e poi i tovaglioli di stoffa, vanno stirati, che stropicciati non piacciono nemmeno alla mia pigrizia. Le belle tovaglie festive di mamma sono riposte nei cassettoni e mi piace guardarle. Ecco, guardandole, pur con amore, si sciupano già!
Buon appetito. E' ora!
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