LE FINESTRE SU VIA GARIBALDI


Sono nata, in una grossa borgata, poi piccola città, della profonda pianura padana.
La casa in cui sono cresciuta, nel centro storico, aveva le finestre affacciate sulla via Garibaldi.

Il ricordo...

Mio papà aveva fatto mettere delle sbarre in ferro battuto perché mia sorella, la peste, non rischiasse di cadere, quindi anche per me, ancora bambina, non era facile affacciarmi da quelle finestre di via Garibaldi. Mi sporgevo un po' e vedevo il mondo, un piccolo mondo antico. Erano gli anni in cui "ci si dava la voce" e di voci ce ne erano tante. La bellissima signora Buscaini dal suo balcone diceva a  mamma che, durante la notte, aveva sentita Barbara piangere; Wilma la lattaia, usciva a salutare e a dì la sua cün  Maria Merli, la dóna  de Domenico El barbé o con la bella ed elegante signora Carla, la mamma di Marina Venosta,  a cui si univa la battuta spiritosa di Minojetti che intanto aveva aperta la sua autoscuola. E poi la fila della gente conosciuta che aspettava il dott. Paolillo o Silvana , la pedicure.
Il profumo del pane che cuoceva nel forno di Poggi si confondeva con quello dei polli allo spiedo di Riboldi e a metà mattina cresceva l'appetito.
Era bello, nelle tiepide sere primaverili, perché altrimenti arrivava il perentorio "sarà sü" materno, affacciarsi e guardare in fondo, verso la stazione e cercare di intravedere papà che arrivava, spiritosamente a braccetto delle sue amiche, in mezzo alla folla dei pendolari.
Lo seguivo con lo sguardo, sapendo che si sarebbe fermato a salutare Domenico e magari Cerutti, che aveva una piccola oreficeria, anche lui in via Garibaldi.
Più avanti,  avrei cercato con  gli occhi un po' addormentati, l'arrivo di Giambattista , che rientrava tardi dall'università, giusto per poterci scambiare un veloce saluto e un bacio.
Già: quelle finestre su Via Garibaldi...

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